I MASSACRI HAMIDIANI: ORRORE IN ARMENIA

I Massacri Hamidiani, detti così dal nome del sultano ottomano Abdul Hamid II, furono una serie di stragi di armeni compiute tra il 1894 ed il 1896. Furono il preludio al genocidio armeno del XX secolo, secondo molti storici.                                         
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  • Prima di tutto dobbiamo capire qual'era la situazione dell'Impero e degli armeni in quel periodo (fine dell'800'). L'Impero Ottomano era in crisi ed era già in atto la fase di di disgregamento dell'impero. Gli armeni erano considerati cittadini di seconda classe nell'Impero, anche perché erano cristiani, mentre la maggior parte della popolazione dell'Impero (circa il 76-77%) era islamica. E i cristiani erano sotto lo status di dhimmi, cioè di ''sottomissione'', che consisteva in pratica al pagamento di un'imposta, la jizya, e altre limitazioni. Lo status di dhimmi riguardava anche gli ebrei. Già dagli anni 60' e 70' dell XIX secolo gli armeni chiedevano migliore trattamento da parte del governo di Istambul e più diritti. Ecco cosa volevano: fine dell'usurpazione di terre, dei saccheggi e degli omicidi perpetrati da Circassi e Curdi nelle città armene, dei comportamenti criminali di funzionari di governo, e del rifiuto di accettare i cristiani come testimoni nei processi. Fra gli armeni si andava diffondendo una spinta nazionalista (per una maggiore autonomia).                                                                                 
  • Nel 1878, al Congresso di Berlino, a seguito della sconfitta della Turchia contro la Russia zarista, gli armeni mandarono una delegazione, guidata da Mkrtich Khrimian, sacerdote armeno, per convincere le potenze europee a dare garanzie e diritti per gli Armeni nel trattato di pace. Il Sultano era ostinato a non cedere potere (Abdul Hamid pensava che i problemi dell'impero derivassero ''dalle infinite persecuzioni e ostilità del mondo cristiano") e percepiva gli armeni come un'estensione dell'ostilità straniera, un mezzo attraverso il quale l'Europa avrebbe potuto "raggiungere i nostri luoghi più vitali e strappare le nostre viscere". Lo storico turco e biografo del sultano Osman Nuri osservò: "La semplice menzione della parola ''riforma'' lo irritava [Abdul Hamid], incitando i suoi istinti criminali". All'udire della visita della delegazione armena a Berlino nel 1878, osservò amaramente: " Una così grande impudenza ... Così grande tradimento nei confronti della religione e dello stato ...''. Pur ammettendo che alcune lamentele erano fondate, paragonò gli armeni a "donne in lutto (...) che simulano un dolore che non provano''; ''sono un popolo effeminato e codardo che si nasconde dietro gli abiti delle grandi potenze e suscitare una protesta per la più piccola delle cause ".          
  • Le disposizioni per le riforme nelle province armene contenute nell'articolo 61 del Trattato di Berlino (1878) alla fine non furono applicate e furono seguite invece da un'ulteriore repressione. Il 2 gennaio 1881, le note collettive inviate dalle potenze europee per ricordare al sultano le promesse di riforma non servirono a nulla. Le province orientali dell'Impero ottomano erano storicamente insicure; i ribelli curdi attaccavano impunemente gli abitanti delle città e dei villaggi. Nel 1891, in un momento in cui l'impero era troppo debole e disorganizzato o riluttante a fermarli, il sultano Abdul Hamid conferì uno status semi-ufficiale ai banditi curdi. Costituiti principalmente da tribù curde, ma anche da turchi, yöruk, arabi, turkmeni e circassi, e armati dallo Stato, furono chiamati Hamidiye Alaylari (reggimenti di Hamid). I briganti curdi furono liberati per attaccare gli armeni, confiscare riserve di grano, derrate alimentari e cacciare il bestiame e fiduciosi di sfuggire alla punizione poiché erano soggetti solo a tribunali militari. Di fronte a tali abusi e violenze, gli armeni istituirono organizzazioni rivoluzionarie, vale a dire il Partito socialdemocratico di Hunchakian (Hunchak) e la Federazione rivoluzionaria armena (ARF o Dashnaktsutiun). Seguirono scontri e disordini nel 1892 a Merzifon e nel 1893 a Tokat.
     
  • Nel 1894 il sultano incominciò a prendere di mira gli armeni, i quali opposero resistenza a Sasun, contro le truppe ottomane e i briganti curdi, soccombendo per la disparità di forze in campo e per le promesse di amnistia da parte dei Turchi (peraltro mai concesse). In risposta alla resistenza di Sasun, il governatore di Mush rispose incitando i musulmani locali contro gli armeni. Lo storico Patrick Balfour, scrive che massacri di questo tipo venivano spesso raggiunti riunendo i musulmani in una moschea locale e sostenendo che gli armeni avevano lo scopo di "colpire l'Islam". Il sultano mandò le truppe nell'area e armò gruppi di briganti curdi. Successivamente, a seguito di una manifestazione di 2000 armeni a Costantinopoli, il sultano dovette fare concessioni agli armeni, esacerbando ulteriormente gli animi.
  • Il 4 ottobre 1895 Mehmed Eni Pasha fu nominato governatore della città di Diyarbakir e cercò di forzare i notabili cristiani a firmare telegrammi di gratitudine per la sua nomina al governo centrale; ciò provocò proteste e una petizione fu mandata al Patriarcato Armeno per protestare contro la nomina. I massacri cominciarono il 1° novembre 1895: persone non identificate spararono colpi fuori dalla Grande Moschea (forse un poliziotto sparò ad una caldea che passava durante le preghiere nella Moschea). I musulmani cominciarono ad attaccare tutti gli armeni nei dintorni ma presto le violenze si diffusero contro tutti i cristiani. I musulmani locali furono appoggiati da truppe turche: l'intera area del mercato andò a fuoco. I cristiani che non riuscirono a scappare furono massacrati dalla folla. Gli attacchi continuarono la mattina seguente: le case furono saccheggiate e bruciate; uomini, donne e bambini uccisi; e le ragazze furono rapite e convertite all'Islam. Alcuni cristiani furono in grado di proteggersi con le poche armi che avevano posseduto in strade strette che erano difendibili. Più di 3000 cristiani di tutte le confessioni si radunarono nel monastero dei Padri Cappuccini; circa 1.500 furono protetti dal consolato francese. Il consolato francese fu quindi preso di mira dalla folla, che sparò contro i muri. Il consolato, tuttavia, non cadde. I massacri durarono fino al 3 novembre e terminarono solo su ordine governativo. Non vi parteciparono curdi (anche se 2500 di loro si erano ammassati fuori dalle mura ma le porte della città furono sbarrate). Esistono stime diverse sul bilancio delle vittime in città. Il rapporto ufficiale ottomano del governo provinciale riportò 480 cristiani e 130 musulmani. Tuttavia, Meyrier riportò 1191 morti cristiane (inclusi, ma non solo, 1000 armeni e 150 assiri) e 195 musulmani. Meyrier riferì anche di 2000 persone scomparse, ma Hallward, il vice-console britannico che venne a Diyarbakır l'anno successivo, determinò un bilancio delle vittime cristiane intorno a 1000. 155 donne furono invece rapite dai curdi. 
  • I massacri nelle campagne continuarono per 46 giorni dopo i massacri iniziali nella città di Diyarbakır. Nel villaggio di Sa'diye, abitato da 3000 armeni e assiri, i turchi uccisero prima gli uomini, poi le donne e infine i bambini. Un gruppo di abitanti del villaggio tentarono di rifugiarsi in una chiesa ma i curdi la bruciarono e uccisero quelli all'interno. Solo tre sono usciti vivi nascondendosi tra i cadaveri. A Mayafaraqin, una città con 3000 cristiani armeni, solo 15 sopravvissero alle uccisioni, gli altri furono uccisi in modo simile a quanto accaduto a Sa'diye. Il villaggio assiro di Qarabash fu distrutto e in Qatarball sopravvissero solo 4 persone di 300 famiglie. Armalet, prete cattolico, conta 10 villaggi completamente distrutti (circa 4000 morti). Il numero totale di persone rimaste bisognose di nutrimento e riparo nella provincia fu stimato a 50.000 da Meyrier, Hallward successivamente rivide la cifra a 20.000-30.000 (esclusi Mardin e Palu). Mardin, la più grande città e la capitale del sancak di Mardin fu risparmiata dai massacri avvenuti a Diyarbakır. Molti dei suoi notabili musulmani erano ansiosi di proteggere i propri interessi e volevano mantenere l'immagine tollerante della città. La città era inoltre caratterizzata dal fatto che i quartieri di musulmani e cristiani si mescolavano, rendendo difficile distinguerli: i musulmani sapevano che l'ingresso di forze esterne avrebbe portato a un massacro indiscriminato dei suoi abitanti. I primi curdi entrarono il 9 novembre provenienti dal villaggio di Ain Sinjache, avevano distrutto. Una forza musulmana locale li affrontò e sconfisse. Anche due successivi tentativi da parte dei curdi di irrompere nella città fallirono. Fu solo alla fine di novembre che il governatore di Diyarbakir emise un ordine per proteggere le chiese, sebbene l'atmosfera rimase tesa fino alla primavera del 1896. Nonostante la protezione dei cristiani di Mardin , i villaggi vicini a Tur Abdin affrontarono un destino diverso, diversi villaggi e le chiese furono saccheggiate e bruciate. A Urfa le truppe ottomane bruciarono la cattedrale armena, in cui 3000 armeni si erano rifugiati e spararono a chiunque cercasse di scappare.  
  • E' difficile dire quanti armeni perirono. Il pastore tedesco Johannes Lepsius raccolse meticolosamente i dati sulla distruzione e nei suoi calcoli, contò le morti di 88.243 armeni, la miseria di 546.000, la distruzione di 2.493 villaggi, i residenti di 456 dei quali furono convertiti forzatamente all'Islam, la profanazione di 649 chiese e monasteri, di cui 328 furono convertiti in moschee.  Ha anche stimato la morte aggiuntiva di 100.000 armeni a causa della carestia e delle malattie per un totale di circa 200.000. La stima più completa venne data probabilmente dallo storico francese Pierre Renouvin, Presidente della Commissione in carica per raccogliere e classificare i documenti diplomatici francesi. In un volume basato su documenti autentici, egli fa una stima complessiva di 250.000 vittime.

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